Un “intellettuale collettivo” per forgiare la consapevolezza dell’alternativa

Quale avvenire per i comitati?

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  1. Henri Schmit
     
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    Ringrazio Marco De Donno del commento costruttivo e Socrates Negretto della sua risposta serena e pacifica.

    Dell'analisi inziale di Socrates non condivido in particolare il passaggio con le proposte concrete:

    " .... la possibilità d’invertire la rotta non può che passare dal restituire forme di controllo democratico all’attività economica7: separando rigorosamente le ordinarie funzioni commerciali di una banca dalle attività d’investimento8; imponendo un limite alle dimensioni del bilancio degli istituti finanziari9; ponendo come condizione per la creazione e il commercio dei titoli derivati la presenza di un sottostante reale; vietando (o riducendo notevolmente) le possibilità di portare voci importanti fuori bilancio per mezzo dei Veicoli d’investimento strutturato; limitando le connessioni internazionali tra grandi gruppi finanziari10…

    Si potrebbe proseguire a lungo, specie nell’affascinante compito di prefigurare le attività produttive che una finanza opportunamente riformata dovrebbe svolgere in luogo delle parassitarie speculazioni che dominano la sua attività odierna (a titolo di esempio, allo Stato potrebbe spettare il compito di orientare gli investimenti verso la cura del dissesto idrogeologico; la manutenzione delle ferrovie; la messa in sicurezza delle scuole; la ricerca rivolta ad ambiti decisivi quali le energie rinnovabili e lo smaltimento dei rifiuti; etc.) giungendo quindi a realizzare quell’«utilità sociale» che la Costituzione indica con insistenza.... "

    La foot-note 8 rapporta il titolo di una pubblicazione tedesca: "Distruggete le banche!"; mi sembra che l'Italia l'abbia già fatto! Non condivido lo spirito anti-economico dell'approccio che prova a distinguere fra liberali e neo-liberali senza definire né l'uno né l'altro. Le misure suggerite per scuola, rete ferroviaria, cura del territorio, incentivazione delle energie rinnovabili e gestione dei rifiuti sono compiti che spettano (o spetterebbero) all'iniziativa e all’investimento pubblico, all'indirizzo e al controllo pubblico, non alla finanza privata procurata dalle banche; in Italia i derivati sono stati utilizzati abusivamente proprio dalle amministrazioni pubbliche (in UK per esempio alle amministrazioni locali è vietato sottoscrivere derivati); i veicoli servono oggi a creare le "bad banks" proprio per tirare fuori dai bilanci le sofferenze ingestibili.

    Il problema cruciale è il governo democratico, non il sistema bancario, contagiato semmai da un governo non abbastanza democratico. Per quanto concerne il controllo democratico dell'attività economica; esiste già il controllo dello stato su tutte le attività economiche; l'ultima parola spetta sempre al legislatore, de iure e de facto. Solo che in Italia è eseguito male, da un legislatore incompetente, vassallizzato non dall'economia (o semmai solo indirettamente) ma dai capi partiti e dalle cricche formate intorno a loro.

    Alle fine del 700 non c'era contrapposizione fra uguaglianza e libertà. Ma già si intuivano possibili frizioni.

    Il primo liberalismo dopo il 1815 era chiaramente quello che oggi combattiamo, cioè l'uso delle regole per sfuttare i deboli. Come evitare? Affermando che c'è sempre una regola superiore che vieta che si sfrutti. Dov'è il limite fra rispetto delle regole e abuso delle regole? Lo decide prima la giustizia e in ultima analisi appunto la democrazia. Per questo deve essere vera, completa.

    La democrazia è per definizione liberale, aperta al dibattito che porta alla decisione fondata sul voto, il voto dei rappresentanti o in casi eccezionali il voto di tutti i cittadini. Oggi la democrazia non è effettiva né in Europa (ma ci sono gli stati nazionali), né in Italia. L'UE rappresenta innegabilmente un rischio alla democrazia (poteri enormi fondati su procedure di decisioni indirette e opache, rischio di immobilismo, mancanza di responsabilità). Ma è difficile incidere sull'Europa, comunque costruita su stati sovrani. Il fiscal compact e le regole sul deficit sono stati approvati all'unanimità da tutti gli stati membri.

    Il tentativo di riforma Renzi-Boschi ha messo in evidenza la debolezza della democrazia italiana. Non basta difendere la costituzione del 1947 forse davvero la più bella al mondo, ma non perfetta, non immutabile per sempre.

    Oggi è la Consulta che decide che cos'è un diritto acquisito, che cos'è l'uguaglianza fra disuguali (penso alle pensioni d'oro, agli stipendi pubblici più alti senza paragone negli altri stati democratici - non agli stipendi privati), qual'è la legge elettorale giusta etc in uno stato, governato da un parlamento nominato, dove non c'è protezione sociale, non c'è politica per i giovani, per i disoccupati, per la famiglia intesa in senso largo -non coppie di fatto- ma madri single o madri e padri senza lavoro, senza casa. E questo sarebbe democrazia? Abbiamo un opinione talmente bassa dei rappresentanti eletti e forse pure delle procedure di decisione diretta che confidiamo ciecamente nell'autorità di un organo non democratico (benché nominato dal parlamento in teoria eletto, in realtà pure lui nominato). Per me è solo un simulacro di democrazia. Non sono le masse ignoranti che sono da educare; capiscono da sole che a loro non conviene così (e quindi votano contro). Sono le classi dirigenti a cui si deve ricordare la realtà, il loro ruolo (limitato, temporaneo, controllato e revocabile), le priorità; a loro si deve ricordare che non basta ripetere (magari in gergo inglese) quello che è stato detto da altri, scritto qualche parte; che serve ben altro.

    Edited by Henri Schmit - 20/1/2017, 15:10
     
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  2. Paolo Barbieri 72
     
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    La sensibilità critica del singolo cittadino - che compito del Comitato dovrebbe essere quello di sviluppare andando nelle scuole, proponendo iniziative, stimolando il dibattito pubblico - rappresenta la condizione per garantire la «pari dignità sociale» dei cittadini e il «pieno sviluppo della persona umana» prescritti dalla Costituzione (art. 3).

    Quanto sopra ben difficilmente si raccorda con la possibilità di cogliere le potenzialità di cambiamento di questo "momento" trattandosi di un percorso di lunga lena e di necessaria volontà e partecipazione istituzionale. Un cambiamento la cui necessità e opportunità non è neppure il caso di richiamare.
     
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  3. Paolo Barbieri 72
     
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    CITAZIONE
    Continuiamo così e secondo me fra poco diremo (nel caso io mi dichiaro già d'accordo) che in fondo in fondo persino il CNEL se costretto a funzionare bene è uno strumento essenziale di democrazia come luogo istituzionalizzato di confronto in materia di economia e di lavoro fra le cosiddette "parti sociali"

    Caro De Donno,
    tutto dipende dalla qualità degli addetti, il CNEL come il bicameralismo paritario, il martello come il coltello possono funzionare in modi opposti.

    Non un colpo di stato, ma un colpo di Costituzione per sostituire la mediocrità, e una legge elettorale capace di filtrare la mediocrità, e il CNEL potrebbe svolgere la funzione per la quale era stato voluto dai Costituenti.
     
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    L'ultimo intervento di Schmit ha il grande pregio d'inchiodare la politica alle sue reali responsabilità nel dipanarsi delle attuali vicende economiche. Spesso e volentieri, infatti, la narrazione dominante disegna la politica come uno strumento sopraffatto dall'economia, dimenticando in tal modo che è stata soprattutto la politica, attraverso le leggi che ha emanato nei parlamenti europei e nel Congresso degli Stati Uniti, grazie a normative concepite a ben guardare dalle organizzazioni internazionali - le cui azioni sono di fatto ispirate dai maggiori gruppi di pressione economica - a spalancare le porte al dominio delle corporations industriali e finanziarie.

    Dove divergo - salvo incomprensioni - con Schmit è nel momento in cui si ritiene che attualmente il calcolo politico prevalga sull'interesse economico. Ebbene, personalmente ritengo invece che nelle condizioni odierne vi sia un intreccio inestricabile tra denaro, corporation, banche, politica, uffici legali, pubblicità, mass media e «pensatoi» ove il risultato finale si ritrova a tutto vantaggio delle corporation finanziarie (o finanziarizzate), le quali ora più che mai adoperano ogni strumento a disposizione per ottenere che politici nazionali e funzionari delle organizzazioni internazionali emanino leggi e normative ritagliate su misura: dallo sviluppo di massicce forme di lobbying palesi e occulte ai contributi finanziari pur essi palesi e occulti elargiti a partiti e uomini politici fino ad arrivare all'impiego di potenti uffici legali capaci di predisporre il disegno di fondo delle leggi e delle norme che si vorrebbe far approvare nelle relative sedi.
    Intreccio, questo, ben descritto da un testo che riporto qui sotto. Testo datato, ma adattabile ai giorni odierni amplificandone a dismisura effetti, esiti e azioni:

    «Un tale il cui patrimonio consista per intero nel 5% del capitale azionario di una società con un pacchetto di due miliardi di dollari, non vale personalmente più di centomila dollari. Ma questo 5% (...) conferisce a quel tale il controllo sicuro dell'azienda e quindi il suo reale potere operativo si può valutare nell'ordine dei due miliardi di dollari. Sul piano politico il nostro uomo può quindi fare la voce grossa, non soltanto per l'enorme contributo che è in grado di assicurare a questa o quella campagna elettorale, ma anche e soprattutto per l'attività svolta dai vari uffici di consulenza legislativa che ogni grossa azienda ha in ogni stato dell'Unione e che influiscono in modo determinante sul potere legislativo della nazione, sia a livello locale che a livello centrale. Si devono poi fare i conti con tutta la pubblicità che l'azienda può distribuire tra i vari mass media come voce di bilancio esente da tasse; bisogna fare i conti con gli intrallazzatori sguinzagliati per ogni dove dal nostro uomo e dalla società da lui controllata; si devono infine fare i conti con le fondazioni culturali e assistenziali opportunamente finanziate e manovrate.
    Ecco quindi come un uomo, il cui patrimonio non supera il valore netto di centomila dollari, esercita nel paese un potere occulto, derivante da una ricchezza effettiva moltiplicata a dismisura grazie al fatto che egli controlla, oltre al proprio anche il patrimonio altrui» (da F. Lundberg, «Ricchi e straricchi» (1968), Feltrinelli, Milano 1969, p. 12).

    Ai nostri giorni, il permanere e anzi lo sviluppo su scale più vasta dell'intreccio tra politica, leggi e mercati così efficacemente descritto da Lundberg può essere illustrato da molteplici casi empirici. Per non annoiare il lettore mi soffermo su uno soltanto.

    In Usa il cammino verso la crisi odierna è stato tracciato dalle concessioni in tema di normative de-regolatrici esemplarmente fatte a una singola società, la Enron.
    Sul caso Enron, gigante dei servizi energetici fallito scandalosamente nel dicembre 2001, si rammenti l'inizio della sua storia: nel 1992, su richiesta di quest'ultima, l'economista Wendy Gramm, presidente della Commissione per il commercio dei contratti a termine (leggasi futures) sulle merci, un organismo federale, faceva esentare i derivati (di cui i futures sono una specie) attinenti all'energia dalla sorveglianza della commissione stessa. In tal modo la Enron aveva via libera per moltiplicare l'emissione di tali tipi di contratto.

    Sebbene fosse notoriamente abile e potente, non fu la Gramm da sola a far passare tale normativa, che sarebbe poi stata estesa e generalizzata nel corso del decennio. Allo scopo di promuovere tra i membri del governo e del Congresso la de-regolazione del commercio dei contratti a termine, la società in parola spese in quel periodo 3,5 milioni di dollari per attività di lobbying, distribuiti tra repubblicani e democratici. Grazie alla suddetta esenzione e al suo successivo allargamento, la Enron era pervenuta a offrire al pubblico, verso la fine del decennio, oltre tremila tipi di contratto a termine o futures, insieme con altri tipi di derivati. Quasi nessuno di essi, va sottolineato, aveva a che fare con l'energia.

    La professoressa Gramm era stata posta a capo della commissione sui futures dal presidente Reagan nel 1988. Il «New York Times» ebbe a definirla, qualche anno dopo, «uno dei più vigorosi de-regolatori del governo Reagan». Sei giorni dopo aver concesso alla Enron la suaccennata esenzione, Wendy Gramm si dimise. Cinque settimane più tardi, nel marzo 1993, la professoressa Gramm venne nominata membro del Consiglio di Direzione di una grande società: la Enron. Tra il 1993 e il 2001 Wendy Gramm ricevette a vario titolo da questa società, si stima, tra 1 e 2 milioni di dollari. Il caso vuole che negli stessi anni la Enron fosse la maggior fonte di contributi a fini elettorali di Phil Gramm, marito di Wendy, il quale ambiva a un seggio senatoriale. Una volta divenuto senatore, Phil Gramm fece passare al Congresso, nel dicembre 2000, una leggina che provvedeva alla de-regolazione anche delle aste per l'energia. Grazie a essa i redditi della Enron derivanti dal solo commercio energetico si moltiplicarono per quattro in un solo anno, passando da 12 miliardi di dollari nel primo trimestre 2000 a oltre 48 miliardi nello stesso trimestre del 2001.

    Un copione, purtroppo, che si ripete con poche varianti di fondo.
     
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  5. Henri Schmit
     
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    Nel primo comma dell'ultima risposta di Socrates Negretto manca la parte più importante, la legge ITALIANA (atto del legislatore), è quella la più criticabile e di cui abbiamo la (quasi) diretta responsabilità, non quella dell'Europa comunque votata dal NOSTRO governo (è il consiglio dei ministri che decide ed approva, non la commissione che può solo proporre), ne tantomeno quella del congresso americana, organo eminentemente democratico e responsabile, nel bene e nel male, come lo sta per dimostrare in questo momento.

    Sull'intreccio fra calcolo politico e condizionamento economico, in ultima analisi fra diritto e fatto, non c'è risposta. Saremo sempre condizionati dalla realtà, economica, sociale, demografica, geografica (sisma e neve, per esempio), nazionale, europea e globale, ma siamo liberi di decidere come vogliamo, ignorando la realtà, cioè accettandola e subendola, o posizionandoci in conoscenza di causa ed intervenendo sulla realtà, preferibilmente attraverso procedure democratiche condivise. Se siamo schiavi di condizioni economiche è in gran parte colpa nostra, nei limiti dei nostri poteri reali. Il mondo esiste, in America ha vinto Trump, in UK la Brexit, le banche e i gli investitori istituzionali comprano e vendono titoli (italiani per esempio) alle condizioni che accettano, non a quelle che decidiamo noi etc. Noi (i nostri governanti) possiamo solo decidere di fare più o meno debito; potremmo pure decidere di non rimborsare quello esistente, ma allora più nessuno ne sottoscriverebbe altro, a meno di essere forzato (i cittadini).

    Il caso Enron è grave, forse emblematico, ma è un aneddoto; l'aspetto più grave era forse la contabilità non veritiera.

    Edited by Henri Schmit - 20/1/2017, 15:04
     
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    Le Costituzioni nascono perché frutto della consapevolezza che arginare il potere (compreso quello economico) è auspicabile prima ancora che possibile.
    In un contesto storico ove il dominio del potere economico ha abbondantemente superato il livello di guardia - precarietà, disuguaglianze, crisi economiche e crisi ecologiche stanno lì a dimostrarlo - diviene quindi necessario dal mio punto di vista ridimensionarne i margini di manovra.

    Nel Regno Unito, in Francia, in Germania, in Italia vi sono ad esempio gruppi finanziari, bancari e non, i cui attivi si aggirano fra uno e due trilioni di euro. Gruppi di simili dimensioni pesano negativamente sulla vita di un paese in diversi modi, in primis perché possiedono una grande influenza politica.

    Alla luce di questo, temo sia tanto diffuso quanto fuorviante rappresentare l'attuale contesto economico (segnatamente l'attuale crisi) alla stregua di un disastro naturale del tutto inatteso: tale narrazione, infatti, ha svolto la funzione preminente di sospingere al fondo della scena pubblica, se non anzi di rimuovere totalmente, la necessità urgente di procedere a una spiegazione strutturale delle sue cause. Cause che personalmente ritengo invece prioritario scandagliare ed affrontare.

    Analogamente, anche la questione del debito pubblico può essere affrontata da diversi punti di vista e con diverse soluzioni; una delle quali (il Quantitative Easing congegnato da Draghi) sta già sortendo il risultato di ridurre il peso degli interessi sui titoli di Stato senza conseguenze disastrose sui mercati. Dirò di più: nessuno al momento può escludere che quello stesso Quantitative Easing non si trasformi in una monetizzazione del debito che sortirebbe l'esito di ristrutturarlo. Se infatti la Bce tiene a bilancio in perpetuo una certa percentuale del debito pubblico degli Stati coinvolti, rinnovandola a ogni scadenza - o «facendo rollover», in gergo tecnico - in cambio di nuovi titoli, potenzialmente a interessi zero; trasformandola in una rendita perpetua a interessi molto bassi o, idealmente, a zero non ci troviamo forse dinnanzi ad un debito effettivamente «cancellato» (visto che se quei titoli non devono essere ripagati possono considerarsi non-debito)?
     
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  7. Henri Schmit
     
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    Non sono d'accordo. Il potere di grandi gruppi è controllabile e gestibile. E la disuguaglianza crescente e particoalrmente grave in Italia fra pochi inidividui ricchi e tanti poveri che è il vero problema. Non "narro" niente da nesuna parte per assimilare il potere economico ai disastri naturali, dico solo che tutte le decisioni dei cittadini liberi sono sempre condizionati dalla realtà, che bisogna conoscere per poterla influenzare. Questo vale pure per i disastri naturali: in Svizzera o on Trentino-AA l'autorizzazione di costruire sarebe stata rilasciata solo dopo uno studio dei rischi di valanghe e quindi con l'onere di costruire a monte i necessari infrangi-slavine. A più forte ragione vale per fatti economici, fatti da uomini. Se la politica non governa l'economia è colpa del governo, incapace o interessato.
     
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  8. edoardo ferranti2
     
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    concordo con quanto proposto
     
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22 replies since 16/1/2017, 08:51   297 views
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